12 novembre 2009

Berlino



Ho visto Berlino per la prima volta tra le pagine della vita di Christiane F.. Era una Berlino lucida di pioggia, livida di rabbia, raggomitolata nel suo stesso veleno, era una Berlino aggrappata al dolore di una ferita interna che sapeva di prigione.
E quante volte, grazie a quelle parole grigie, ci sono tornata. L’ho letta bene, osservata in fondo ed ho visto, in quello squarcio di storia di metà anni ’70, il presente del mio Paese, il senso di totale perdizione e smarrimento che guardo stampato sulle facce nella metro, nelle strade di Roma, sui manifesti abusivi spiaccicati sui muri di un qualsiasi angolo della città. In un certo senso l’asse Roma - Berlino esiste ancora, ma in altri termini, epoche diverse.
Ho conosciuto i suoni di Berlino nella tensione degli Heroes di Bowie e nel bacio disperato accanto al Muro fra i fucili che sparano sopra teste inermi, l’ho ascoltata nella Alexander Platz di Franco Battiato e nelle passeggiate fino alla Frontiera fra l’Est e l’Ovest, passeggiate in cui parlare di se stessi.
Ho visto Berlino nell’Espressionismo. Era la capitale dell’arte della prima metà del Novecento, una capitale come non ce ne furono più, perché poi ci fu la guerra, perché poi ci fu il dopoguerra, il boom economico, il Vietnam ed il tempo dell’arte era ormai finito da tempo.
Berlino poi l’ho vista davvero. Ci ho messo piede a metà Marzo di quest’anno, e metà del mio cuore è rimasto lì, accanto all’impronta di quel piede.
Era proprio come volevo che fosse. Fredda, grigia, triste, ferita, bellissima. Aveva il sapore di un Inverno che non ho mai sentito sulla pelle, le strade immense sapevano di ricostruzione, di distruzione e di speranza insieme. Berlino è una città determinata.
Anche se quella ferita interna è stata rimarginata, la differenza fra l’Est e L’Ovest è ancora palpabile.
Albergavo nella Ex Berlino Est e l’hotel ricordava il realismo sovietico. Le camere erano anguste, la visuale era immensa, la Torre della Televisione ad Alexander Platz sembrava potesse dominare il mondo.
Da una parte l’impronta sovietica, dall’altra quella del capitalismo di americane origini hanno reso Berlino una sorta di città – Arlecchino. Le costruzioni distrutte a metà, quelle ristrutturate, quelle che non ci sono più e al loro posto c’è un immenso palazzo di chissà quanti piani, le strade, i mezzi pubblici. URSS e USA si son fuse, e son diventate un perfetto esempio di coesione, un profondo ossimoro, necessario perché si vada avanti.
L’ombra del Muro me la sentivo sempre addosso, sentivo sempre addosso anche il senso di incredibile fortuna nell’aver potuto mettere piede in una città finalmente unita, finalmente libera.
Quando poi, la sera del 9 Novembre 2009, ho visto le immagini della festa a Berlino per il ventennale della caduta del Muro e gli occhi mi brillavano, ho desiderato con tutta me stessa di tornare là. Certo, la voce di Vespa in sottofondo disturbava non poco, ma l’emozione è stata più potente del disprezzo.
Allora ho deciso di tornarci, in questo modo.



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