30 dicembre 2010

Buoni propositi


Ecco l'unico punto a cui voglio giungere con tutta me stessa, non solo quest'anno, ma nel corso di tutto il resto della mia vita...
"Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio"
(Italo Calvino, Le città invisibili, pag. 164).
E non lo auguro solo a me, ma a tutti coloro che, da qualche anno o solo da qualche mese, hanno deciso di cercare e di saper riconoscere il non-inferno insieme a me.

22 dicembre 2010

The Clash, Sandinista. 'The only band that matters'


Oggi ricorre l' 8° anniversario della morte di Joe Strummer. Come non potevo celebrarlo nel blog che porta il nome di una splendida canzone dei Clash? Per di più la rubrica musicale ha rubato il nome ad un altro loro brano, dunque è mio dovere di folle amante dei Clash pubblicare la recensione di 'Sandinista!'.
Da 8 anni il mondo è meno bello. R.I.P. Joe Strummer

La musica non sarebbe la stessa se i Clash non fossero esistiti. Loro l’hanno riscritta, mescolata e hanno mostrato il volto costruttivo del punk, se di punk si può parlare.Sandinista! è il lavoro più ricco di contaminazioni del gruppo britannico, reggae, dub, rap, rock si incontrano e si uniscono a testi di denuncia sociale e politica, volti a far riflettere, per una realtà migliore che non si bruci nel “No future” digrignato dai Sex Pistols. Il titolo stesso vuole essere provocatorio: si riferisce al movimento di liberazione nazionale nicaraguense che negli anni ’60 andò al potere scacciando il dittatore Somoza. La politica dei sandinisti scatenò la reazione degli USA, i quali finanziarono i gruppi dei controrivoluzionari per far scoppiare la guerra civile. La critica agli USA è inoltre presente nel brano “Washington Bullets”, riferendosi, oltre che a quella cubana e nicaraguense, alla vicenda cilena, che vide gli americani sostenere il generale Pinochet nel colpo di Stato contro il governo del leader comunista Salvador Allende. Non manca l’amore per la musica, espresso in brani come “Corner Soul” o “If Music Could Talk”, in cui alla denuncia sociale si aggiunge il potere delle note.
Un gruppo diventa immortale quando la sua musica parla il linguaggio del presente e i Clash l’immortalità ce l’avevano nel sangue.
 
   Pubblicato sul n° 3 de 'Il Nuovo Cittadino', novembre/dicembre
Ilaria Pantusa


20 dicembre 2010

Arcade Fire, "The Suburbs" - Recensione


 
Arcade Fire
"The Suburbs"
Anno: 2010
 
Loro sono gli Arcade Fire, vengono dal Canada e The Suburbs è un invito a immergervi nel loro colorato, esaltante e, a tratti, malinconico mondo. Con il loro 3° album confermano il talento che hanno dimostrato in precedenza, quando hanno conquistato il cuore e le orecchie di giganti della musica quali U2, Coldplay e David Bowie.
The Suburbs ha una struttura circolare e infatti il brano di chiusura, The Suburbs (continued), riprende il motivo (e lo addolcisce, riempiendolo di sensualità), del brano di apertura, ma ancora più particolare è il fatto che alcune canzoni hanno un doppio dall’umore e dal volto completamente opposto, a volte energico, a volte esuberante, altre cupo. Le voci di Win Butler e Régine Chassagne, la prima roca e a volte cupa, l’altra sempre dolce, sempre morbida, si uniscono creando un’armonia al limite della perfezione, completandosi a vicenda. Non mancano certo i nei (Month Of May, dal ritmo scontato e Sprawl I, che invece manca di ritmo). Eppure le perle sono tante (The SuburbsReady To StartSprawl II) e fanno dimenticare gli episodi meno riusciti.
Nelle periferie canadesi soffia il vento dell’armonia e dell’amore per la musica del passato, del presente e del futuro, quella musica che sa sempre essere originale, quella che gli Arcade Fire sanno creare con sapienza e devozione.
 
Pubblicato su “Il Nuovo Cittadino”, n° 3 novembre/dicembre
 
Ilaria Pantusa
 
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11 dicembre 2010

Il gran baccano dell'inutilità


Un gran tumulto, un gran vociare, bicchieri a terra e brillanti discorsi che solcano l’atmosfera.
Giochi di sguardi e uomini e donne che fingono di ascoltarsi.
Bambini che corrono, bambini che gridano, altri in silenzio dietro la gonnella della madre.
Una vecchia signora osserva da lontano, pensa.
Il mondo è su di un vassoio e tutti stan su quello, il mondo è un vassoio e nessuno lo sa, il mondo è un vassoio che appena inclinato fa scivolar tutti via. Il mondo si rovescia e l’indifferenza lo governa nel gran baccano dell’inutilità.
Ilaria Pantusa
(16 febbraio 2009)

09 dicembre 2010

Punti di vista


 
Quei posti ricordavano a mia sorella l’infinito.
Poteva scorgerlo fra i rami degli alberi, fra le vallate frastagliate, fra quei borghi che affacciavano con caparbia imprudenza sul vuoto.
L’infinito era per lei ovunque, anche nei nostri giochi d’infanzia, quando correvamo fra i campi con i nostri amici, quando ci buttavamo fra l’erba alta a cercar le formiche.
Io l’infinito lo potevo scorgere solo nella distanza che separava il mio presente da quel passato da bambina, non c’era nulla di più bello e triste.
Ilaria Pantusa
(9 febbraio 2009)

08 dicembre 2010

Un tuono


Il temporale era iniziato.
La pioggia scrosciava sui tetti e rinfrescava le chiome degli alberi che non sentivano l’acqua da settimane.
I passanti si rifugiavano correndo sotto i loro grandi e grigi ombrelli e la città si andava a poco a poco paralizzando nel suo solito caos.
Il gatto, che era stato attirato dal tuono e alla finestra osservava questo scorcio di vita, saltò sul letto e si riaddormentò cullato dal rumore della pioggia.
 
Ilaria Pantusa
(9 febbraio 2009)

07 dicembre 2010

La tela perfetta



 
Il ragno era rimasto intrappolato nella sua stessa tela.
Da anni cercava di creare la tela perfetta, quella più grande, quella più resistente.
E ci era appena riuscito.
Ma la tanto bramata perfezione della sua “opera architettonica” si rivelò essere la sua tomba e infatti vi morì poco dopo.
Ilaria Pantusa
   (10 dicembre 2007)

06 dicembre 2010

Gente che corre




La gente corre. È un dato di fatto.
La gente lo fa, di notte, di giorno, e non se ne accorge.
Si corre in così tanti modi diversi, per così tanti motivi differenti.
E perché noi, che stiamo lì a scrutarla nei suoi rapidi movimenti, dovremmo fare qualcosa per fermarla?
D’altronde anche noi corriamo e anche noi non sappiamo perché, non sappiamo come. Corriamo e basta.
Potremmo anche chiudere gli occhi per la troppa stanchezza e non vedere più nessuno muoversi freneticamente su quella salita che stiamo percorrendo in questa notte di luna piena.
Potrebbe portarci una piacevole sensazione in grado di scaldarci quanto il sollievo il non vedere più nessuno fuggire a quel modo, nello stesso modo in cui lo stiamo facendo noi.
 
Ilaria Pantusa
(4 febbraio 2008)

Ciò che avete appena letto è la mia rielaborazione di "Gente che corre" di Kafka. Ed ecco il racconto originale:
"Se camminiamo di notte per strada e un uomo ci corre incontro, visibile da lontano, perché la strada è in salita e c’è la luna piena, non faremo nulla per trattenerlo, anche se è debole e lacero, anche se qualcuno lo insegue gridando, ma lo faremo continuare nella sua corsa. È notte e non è colpa nostra se la strada sale sotto la luna piena, inoltre può darsi che i due abbiano inscenato l’inseguimento per gioco, forse entrambi inseguono un terzo, forse il primo viene inseguito senza colpa, forse il secondo ha intenzioni omicide e noi diventeremo complici dell’assassinio, forse i due non sanno nulla uno dell’altro e ciascuno corre, per suo conto, a letto, forse sono sonnambuli, forse il primo è armato. E, a ultimo, non ci è lecito essere stanchi, non abbiamo bevuto tanto vino? Che sollievo non vedere più neppure il secondo."
(F. Kafka da “Contemplazione”, 1913)