17 ottobre 2012

"Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" #1


Ricordate il film “Quinto Potere”? Ricordate cosa urla il protagonista?
“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”.

Prendete ad esempio il Pd, il partito ombra per eccellenza, talmente ombroso che manco si vede, ma si sente soltanto. E per l’appunto, prendete tutte le parole che pronunciano e che ci ubriacano di un indistinto bla bla bla.
La domanda che mi sorge spontanea è:
perché a noi dovrebbero interessare le primarie del Pd e il chiacchiericcio da cui si distinguono solo svariati “rottamare”, “vecchiaia”, “giovinezza”, “Renzi-Bersani-D’Alema-Veltroni”? Chi se ne frega! Io vorrei che la politica parlasse della situazione desolante del paese in cui viviamo. Certo, non mi illudo del fatto che le risposte le abbia il Pd, anche perché c’è un motivo se lo si chiama “PdmenoL”!

I buontemponi che noi eleggiamo (ma non scegliamo, grazie al Porcellum, a cui probabilmente ne seguirà un altro) non si sono mai occupati dei cittadini italiani. A quelli del Pd non sta a cuore il fatto che con la scusa della crisi sono state licenziate migliaia di persone e che grazie a ciò è difficile difendere il potere d’acquisto del singolo cittadino.
Al Pd interessa difendere Napolitano, perché il suo ex consulente giuridico D’Ambrosio parlò con Mancino, indagato nell’ambito della trattativa Stato-Mafia, suggerendogli di mettersi d’accordo con Martelli riguardo la testimonianza al processo. Tutti lo difendono a spada tratta, in tivù, sui giornali, perché lui è il Capo dello Stato e blablablà, e nessun cazzo di giornalista che ricorda a questi gran signori che non era Napolitano ad essere intercettato, bensì Mancino. Parlano con ardore della libertà del Capo dello Stato, del fatto che deve essere difesa. Ma nessuno vuole ledergliela, qui è in gioco la Verità.

Lasciamola stare la libertà.
Libertà, libertà, questa parola la masticano, la ingoiano e poi la rigurgitano sporca, puzzolente, intrisa della loro disonestà. Povera libertà, cosa ti hanno fatto? Non c’è più nessun suonatore Jones a risvegliarti, lui è sepolto nella collina con tutti gli altri.



15 ottobre 2012

C'era una volta in America...


Il titolo del terzo film della trilogia del tempo ricorda l’incipit di quelle fiabe che tutti, almeno una volta, abbiamo letto. Come le trame originali di quelle storie non proprio adatte ai bambini, C’era una volta in America racconta fatti cruenti, intrisi di sangue, il cui sapore lo si conosce fin dalla prima adolescenza.
Il 18 ottobre uscirà nelle sale la versione restaurata, contenente circa 40 minuti in più che, come racconta la figlia di Sergio Leone, lui non avrebbe voluto tagliare.
Quindi, in attesa del 18, mi son preparata vedendo il director’s cut di 229 minuti.

Finora ho visto solo altri due film di Leone: Il buono, il brutto, il cattivo e C’era una volta il West.
In C’era una volta in America ho ritrovato tutte le peculiarità del suo cinema unite insieme: la bellezza delle inquadrature, le trovate geniali per legare, attraverso l’uso sapiente della macchina da presa, tutti i fili della storia, le meravigliose musiche di Morricone, i dialoghi mai scontati, ma sempre pungenti e intrisi di saggezza, i caratteri perfettamente delineati dei personaggi sia maschili che femminili.

E a proposito di donne, le figure femminili principali di questi film sono sempre fiere, determinate, vincenti.
In un mondo selvaggio come quello del vecchio West o dell’America degli anni ’30 e ’60, dominato da uomini animaleschi che sputano, rubano, uccidono e stuprano, le donne sembrano essere le uniche ancore che assicurino gli uomini ad un qualche residuo di umanità. Un’umanità comunque rozza e sporca, se pensiamo a Claudia Cardinale in C’era una volta il West.
Il personaggio di Deborah è forse più complesso però. Lei ha un obiettivo da raggiungere e il suo cuore, apparentemente duro, viene aperto per l’unica e forse ultima volta in vita sua ad un “teppista da due soldi” che non cambierà mai. Intenso è il momento in cui lei gli legge il Cantico dei cantici e, quando lei e Noodles si incontrano anni dopo in quel ristorante sul mare, torna la poesia del Cantico, recitata da lui, tornano la bellezza e la purezza di un sentimento mai pronunciato e consumato, ma tutto questo dura poco, perché quel mondo crudo e bestiale riemerge con la tristezza e la frustrazione di sapere che quell’unico barlume di speranza, che aveva tenuto in vita Noodles durante gli anni della prigione, andrà via lontano, ad Hollywood a rincorrere il suo sogno. Ed è così che alla delicatezza di un bacio si sostituisce la brutalità dello stupro. Il cuore di Deborah si indurisce forse per sempre e i suoi occhi, 35 anni dopo, non lasciano adito ad alcun dubbio. Lei non pensava di rivedere ancora Noodles.



Leone nei suoi film ha parlato dell’amicizia in modo particolare. E infatti il protagonista principale di C’era una volta in America è il legame tra Noodles e Max, e il finale, con l’animo di De Niro assopito dall’oppio e il suo volto sorridente, lo rende evidente. La loro è un’amicizia sporca dell’asfalto della strada prima, quando Max cerca di convincere Noodles ad andare a “ripulire” le case degli ebrei fuori per la loro giornata di preghiera, ed è sporca dell’odore dei soldi dopo, quando Max consiglia ad un Noodles ubriaco e nervoso di non partecipare al colpo alla Federal Reserve.
In entrambi i casi Max si china e si lucida le scarpe, e questo gesto viene compiuto nei momenti nodali delle loro vite: quando si uniscono e quando si separano.

Questo film mi ha stregato. Non ne ho mai visto uno così assolutamente bello, e non ho mai provato prima la sensazione che tutto, inquadrature, dialoghi, personaggi, colonna sonora, fosse amalgamato perfettamente.
Magistrale il modo in cui i flashback ricostruiscono la storia, poetico il momento in cui Noodles entra nel bagno da cui spiava Deborah danzare e attraverso questo espediente e quella fessura nella parete inizia a delinearsi la vicenda.
È come se con gli occhi del protagonista, Leone ci invitasse ad assistere allo svolgersi di una storia. Quella fessura è una metafora del cinema, della narrazione, dell’io che osserva il mondo.
Buona visione.

11 ottobre 2012

Futur. Mi hanno tagliato la “o” finale perché c’è la crisi, leggere per credere.


Torno dall’università dopo aver sostenuto l’ultimo esame della sessione e quindi, finalmente, trovo il tempo per dare spazio alle mie incazzature. La molla che fa scattare in me quel qualcosa che poi mi spinge ad ammorbarvi, cari lettori, è quasi sempre quella, la beneamata rabbia.
Oggi si parla di Futuro, che è sempre al centro delle mie riflessioni. Voglio però parlare di quel Futuro scritto sui manifesti palpitanti sdegno alle manifestazioni, quel Futuro compresso in uno slogan, che non è solo un insieme di parole vuote, buone solo per essere gridate. Il Futuro ce lo stanno togliendo, rovinando, strappando, TAGLIANDO. Piace tanto ai media e alla politica usare la metafora del taglio, la proverbiale sforbiciata che ci farà uscire, lembo in meno dopo lembo in meno, dalla altrettanto proverbiale crisi economica in cui versiamo. E con la scusa vediamo a poco a poco venir meno quello che un passato quanto mai lontano da noi aveva conquistato. I diritti. Il diritto al lavoro, quello ad uno stipendio dignitoso, quello alla salute, quello alla cultura, all’istruzione e ultimo, ma non ultimo, quello al tempo libero.

E a proposito di cultura e tempo libero, sposto il mio discorso dal generale al particolare, per arrivare a quello da cui sono partite le ragnatele dei miei pensieri. Ho letto sull’Espresso che le Biblioteche sono in crisi nera (qui), sembra che alcune non erogheranno il servizio e altre dovranno ridurlo. In altri casi alcune hanno già chiuso. Non credo che debba essere io a spiegare quale sia l’importante funzione delle biblioteche, però sintetizzo così, prendendo in prestito le parole di Pennac: “[…] C’era la lettura. Non sapevo, allora, che mi avrebbe salvato”.  Non è necessario raccontare la mia esperienza di lettrice, né quella di Pennac, basti sapere che entrambi abbiamo avuto una storia scolastica, nel mio caso dal 1° al 3° anno di Liceo, non proprio rosea. Le difficoltà abbondano nel percorso della vita così come in quello scolastico, e per quanto mi riguarda, la passione per la lettura mi ha aiutata a farmi forza e a trovare il mio obiettivo, il mio unico e vero sogno in quella matassa di desideri che ero a 16 anni. E se non avessi avuto le biblioteche del Comune di Roma a portata di mano, non avrei mai potuto leggere tutti i libri che volevo, dato che i libri comunque costano, e neanche poco. E quindi mi chiedo, come faranno i figli di questa crisi, i figli del sistema scolastico stuprato (no, non sono paroloni: le classi strapiene di ragazzini, condizione naturalmente fuori legge, gli stipendi bassi dei docenti, i continui tagli alle risorse per l’istruzione), come faranno i miei futuri pargoli e quelli che nasceranno in famiglie in cui l’interesse per la lettura (e in generale per la cultura) scarseggia a “salvarsi”?
Il Futuro ce lo state riducendo in brandelli, fra poco perderemo anche le lettere necessarie per pronunciarlo questo Futuro.