29 dicembre 2009

Ci vuole coraggio in Italia...



“[…]L’Italia è così. Dimenticate l’Italia di Dante. Dimenticate l’Italia di Verdi. Dimenticate l’Italia delle vostre fantasie. Benvenuti nell’Italia che definisce una retata contro gli immigrati ‘Operazione Bianco Natale’, nell’Italia che dichiara che il Presidente degli Stati Uniti ha una bella tintarella, la stessa Italia che poi si mette anche a ridacchiare di queste cose.»”
Martin Ketlle conclude il suo articolo con questa frase (l’articolo completo potete trovarlo qui:
Leggere l’amarezza di questo giornalista mi ha fatto pensare alla mia di amarezza, quella di una diciannovenne che sogna di vivere la sua vita scrivendo storie da leggere per pensare, che sogna di diventare una brava giornalista, una che scopre verità nascoste e le mostra al mondo, senza aver paura di ricevere minacce o di essere imbavagliata da un compromesso.
Mi fa male pensare che dall’estero ci guardano con sguardo sprezzante, di disgusto, per una colpa che io non ho, che molti altri non hanno.
I cosiddetti adulti si lamentano continuamente dei cosiddetti giovani, sempre sbandati, sempre a cercare i soldi da mamma e papà, sempre a pretendere senza poi dare, senza ideali, senza valori, che hanno dimenticato cos’è il rispetto.
L’imbecillità di questi discorsi mi lascia a bocca non aperta, spalancata. A voi che state leggendo chiedo di farvi una piccola, semplice domanda. CHI ha educato questi giovani, CHI li ha cresciuti, CHI ha dato loro questa imitazione di futuro?
Io sono arrabbiata con chi mi ha lasciato un mondo del genere, io sono furiosa verso chi ha fatto sì che i miei coetanei sappiano dire solo “chi se ne frega, tanto a me che mi fanno?”, io sono stufa di sentirmi così impotente. Impotenza. Termine che non designa solo una deficienza sessuale. L’impotenza è quella sensazione che si prova quando i propri sforzi vengono considerati nulli a causa dell’indifferenza, l’impotenza riesce a rosicchiare uno spirito combattivo, addirittura la rabbia.
Mi sono sentita impotente quando ho letto questo articolo, mi sono sentita così anche quando ho visto il film-documentario “Videocracy”, mi sento così ogni volta che qualche parlamentare apre bocca, ogni volta che vedo ragazzi della mia età essere totalmente indifferenti.
Martin Kettle, non ho avuto la fortuna di nascere negli anni in cui in Italia c’erano intellettuali del calibro di Pirandello, Fermi o Pascoli, ma non per questo merito di essere dimenticata a causa dell’ignoranza di chi mi ha lasciato in eredità uno sfacelo da disfare e comporre daccapo.
La domanda che mi (e vi) pongo è questa: Chi sarà in grado di scucire e ricucire un’ Italia così lacera? Ci sarà qualcuno in grado di avere una forza di volontà tale?
Oppure sarò obbligata a vedermi scorrere tutto davanti agli occhi, come hanno fatto gli inetti delle generazioni precedenti alla mia?
Guardate che ci vuole coraggio per tenere gli occhi così chiusi.

03 dicembre 2009

"L'esclusa", Luigi Pirandello


 
In un piccolo paese della Sicilia di fine Ottocento, due famiglie, unite dal matrimonio fra Rocco Pentagora e Marta Ajala, vengono divise proprio dalla fine di questo, a causa di uno scambio epistolare fra la donna ed un notabile, Gregorio Alvignani.
Mentre i Pentagora muovono l’opinione del paese contro Marta, giudicata fedifraga, quest’ultima, che non ha alcun problema con la propria coscienza, è bandita dal padre, che a sua volta nasconde se stesso dal resto della famiglia, chiudendosi al buio della propria stanza da letto.
Così la famiglia Ajala è costretta a provveder da sola agli affari della conceria, che viene affidata ad un cugino, Paolo Sistri, che di lì a poco la manderà in rovina.
La morte di Francesco Ajala, quella del figlio che Marta aspettava da Rocco e il fallimento della conceria, segnano l’inizio di una veloce decadenza per le Ajala. Ma in loro aiuto sopraggiunge Anna Veronica, una vecchia amica di Agata Ajala, anche lei emarginata per uno scandalo che l’aveva coinvolta anni prima.
Marta intanto decide di fare un esame che la abiliti ad insegnare, per aiutare madre e sorella minore a rialzarsi dal fango. L’esame lo passa, ma non il muro d’ostilità ed ignoranza che le si para davanti, così viene sostituita dalla figlia di un consigliere. Finalmente riesce a conquistare una cattedra, ma il rancore ingiustificato di alunne e genitori la farà presto scappare a Palermo, con tutta la famiglia.
Ed è nella cittadina sicula che le Ajala iniziano a vivere giorni più lieti.
A poco a poco che l’abitudine alla tranquillità scalda il cuore a madre e sorella, Marta, da quell’abitudine, comincia a sentirsi svuotata, a sentire l’oppressione dell’esclusione, di nuovo. A scuola i colleghi le fanno la corte, ma lei non ne è affatto lusingata, anzi, infastidita.
Qui rincontra l’Alvignani, con cui ha una breve relazione, la quale finisce dal momento che la donna si rende conto di non averlo mai amato.
È durante l’agonia della madre di Rocco, trasferitasi a Palermo dopo esser stata cacciata dal marito per tradimento, che Marta e Rocco si ricongiungono.
Pirandello sembra dipingere il grande quadro de “L’esclusa” con passione, precisione e grande capacità espressiva. E lo scenario è vasto, ma non perché mille e uno personaggi entrano nella storia e si rincorrono uno ad uno riempiendola di fatti, di nomi. Lo scenario è vasto perché ogni personaggio viene caratterizzato in ogni minimo particolare, dando al lettore la sensazione che stia lì, davanti ad i suoi occhi, a parlare, a pensare, a piangere o anche a morire. Anche i nomi, anche i suoni delle parole con cui Pirandello descrive queste sue “creature d’inchiostro” contribuiscono a donare una precisa istantanea di essi. Un esempio di ciò si può avere con il professore Matteo Falcone, dai modi così rozzi, dai piedi così storti, dall’aspetto così spaventoso, il quale si innamora perdutamente di Marta e che per questo amore non corrisposto finisce in manicomio. L’uomo viene descritto con termini dai suoni gutturali e dentali, creando un’immagine quasi grottesca che drammatizza e in parte sdrammatizza il personaggio.
Un altro esempio di caratterizzazione al limite del teatrale si ha col consigliere, padre di un’alunna strafottente, che si lamenta dell’operato di Marta andando a parlarne col direttore della scuola, trasformandosi così nella goccia che fa traboccare il vaso e che fa trasferire Marta e la famiglia a Palermo. Nel descrivere l’irruenza decisiva dell’uomo, Pirandello adotta nel testo il suo modo di parlare, arrivando ad onomatopeiche per descrivere ad esempio lo strisciare snervato delle sue scarpe, quasi come se volesse far vibrare anche la carta della rabbia del padre offeso.
I personaggi in realtà sono pochi e tutti, nel loro piccolo, fondamentali, quasi come se si stesse leggendo un’opera di Shakespeare (ad esempio Romeo e Giulietta), in cui ogni singola voce è funzionale allo svolgimento dei fatti narrati.
Inoltre è interessante notare come sia evidente il paradosso presente nel romanzo.
Marta viene cacciata di casa ed accusata di infedeltà dal marito, perché protagonista di uno scambio di lettere con l’ Alvignani. Basta questo a scatenare la bufera.
In realtà Marta non fa altro che sentirsi lusingata dalla conversazione epistolare con l’uomo, il quale la riempie di ammirazione, riconosce la sua cultura e la valorizza. La donna anzi si sente stupida a non aver frenato quello scambio di opinioni, di idee, di complimenti. E si sente così dal momento che non prova, nei confronti del notabile, alcuna sorta di sentimento che possa comprometterla nel matrimonio con Rocco. Ma l’ignoranza e l’impulsività di Rocco, alimentate da una sorta di superstizione nei confronti del matrimonio tutta teorizzata dal padre di lui, Antonio Pentagora, il quale afferma che ogni Pentagora “cornuto nasce”, portano l’uomo apparentemente tradito, a non tentare di oltrepassare l’apparente evidenza della situazione.
Così iniziano tutte le peripezie di Marta, la quale fa di tutto per risollevarsi dal fango, per camminare a testa alta in mezzo alla strada. La madre e la sorella non capiscono questo atteggiamento, quasi come se non lo approvassero perché già arresesi alla condanna collettiva.
L’esclusa quindi, non solo deve fare i conti con un intero paese in cui “se tutti la pensano così, allora qualcosa di fondato ci deve pur essere”, ma deve anche lottare per discolparsi davanti a madre e sorella. Perché se all’inizio decide di non fare assolutamente nulla, nella convinzione di avere la coscienza pulita, Marta capisce anche che la sua “non-colpa” è stata fautrice di danni alla sua famiglia. E mentre la donna si allontana dagli entusiasmi della famiglia, quest’ultima appare come coperta da un manto caldo che la riscalda. Ed è Marta stessa a procurarlo quel manto. Solo che il suo lato è gelido, ma a lei non importa ciò.
Quando a Palermo rincontra Gregorio Alvignani, nasce la passione, lei crede addirittura di amarlo. È a questo punto che tutto però si ribalta. La relazione con il notabile termina perché Rocco rivuole indietro la moglie, che intanto è incinta dell’Alvignani. La madre di Rocco è in fin di vita e Marta, nonostante il tradimento, ora avvenuto, si ricongiunge al marito. Ed è proprio l’Alvignani che fa notare alla donna da lui amata il paradosso: “[…] Pensaci! Innocente, ti hanno punita, scacciata, infamata; e ora tu, spinta da tutti, perseguitata, non per tua passione, non per tua volontà, hai commesso il fallo […] il fallo di cui t’accusarono innocente, ora ti riprendono, ora ti rivogliono! Vacci! Li avrai puniti tutti quanti, come si meritavano!”.
In qualche modo tutto ciò vanifica i tentativi fatti da Marta di rialzarsi da sola, con le proprie forze, di dimostrare che lei era nel giusto.
Solo ora che si è resa finalmente colpevole della colpa che, al tempo, non aveva commesso, il marito chiede la riconciliazione, e la ottiene durante la veglia della madre.
Il fatto che la riconciliazione avvenga davanti al letto di morte della madre di Rocco è un particolare che potrebbe rappresentare il punto d’arrivo della vicenda. Anche la madre dell’uomo, come Marta, era stata cacciata di casa perché accusata di adulterio. Anche lei quindi ha passato una vita da esclusa.
È come se madre e nuora ottenessero la loro vendetta l’una grazie all’altra. La nuora si riconcilia col marito solo dopo essersi compromessa davvero, e l’occasione arriva con l’agonia e la morte della madre di Rocco. Quest’ultima invece muore avendo davanti agli occhi la sconfitta morale dell’ex marito, Antonio Pentagora.
Ma si parla di vendetta, non di vittoria. Gli sforzi di Marta sono vanificati dal “fallo” che infine commette. La madre di Rocco invece muore dopo aver condotto una vita da emarginata, senza aver mai provato ad alzare il capo.
È come se in questa storia tutti fossero vittime e allo stesso tempo vendicatori.