05 novembre 2010

Potenzialità



Questa mattina sono arrivata ad una conclusione. Conclusione che è l’inizio di un viaggio in questo mondo desolato e malaticcio, un mondo in cui viviamo e in cui ci stiamo arrendendo in nome di un dio denaro dagli occhi iniettati di sangue e oro nero.
Ieri sera ho finito di leggere un libro di Jonathan Coe, “Circolo chiuso”, il seguito de “La banda dei brocchi”. In quest’ultimo si narrano storie che hanno come decisivo sfondo i fatti dell’Inghilterra degli anni ’70 e il suo seguito ha ancora come decisivo sfondo i fatti dell’Inghilterra dei giorni nostri. E quel ritratto era uguale ad un altro che ho visto io. Inizialmente non ricordavo dove, ma poi a poco a poco l’immagine si faceva più nitida, e allora mi tornavano in mente le pagine dei libri di storia, la storia di un’Italia remota non troppo distante da questa, e ancora gli articoli e le immagini dei telegiornali e le parole della gente sulla metro, i discorsi di verdi, leghisti, destra e sinistra, razzisti, omofobi, ignoranti. In questi due libri ho letto la decadenza che sta attraversando il mio paese natio, e mi hanno risvegliata dalla torbida illusione che solo qui ci fosse un buco nero incolmabile. Forse ho capito che quel buco nero sta attraversando l’intero mondo occidentale e ha un’origine, “perché quando vai al sodo, ogni cosa ha una causa”. Stavo pensando di affibbiare la colpa all’America e al Capitalismo, e forse sembrerà ovvio, forse sembrerà quasi scontato, oppure troppo semplicistico, ma credo che sia proprio così.
L’Italia sta perdendo la sua identità e da quanto ho potuto leggere, quell’identità sta sbiadendo anche in Inghilterra. Quando parlo di identità non mi riferisco a quella nazionale, ma intendo dire che stiamo vivendo in un periodo di decadenza culturale tale che ormai intellettuali, scrittori, artisti sono relegati ai piani impolverati della società, non sono più i “fari del popolo” (e questo è un processo che si trascina ormai da più di un secolo, lo so bene). Ma non è solo l’esigua importanza che si dà ad artisti ed intellettuali, il problema è che si è instaurata da ormai molto tempo un altro tipo di cultura, quella dello spettacolo, degli indici di ascolto, del vuoto. Da cosa proviene questo vuoto, chi ce l’ha trasmesso? Possibile che questo virus sia “autoctono” e si sia diffuso ovunque alla velocità della luce? In cosa possono essere ritrovate le cause? So di non essere una sociologa, ma mi rendo anche conto del fatto che ci sono troppe cose che non quadrano e che non siamo i soli a vivere questa realtà, e prima ce ne renderemo conto, prima qualcosa cambierà, forse. Non possiamo pensare di badare solo al nostro piccolo orticello quando tutto il mondo sta annegando insieme a noi, siamo nell’era della globalizzazione, ma ciò non deve necessariamente significare che siamo in un’era negativa e dunque dobbiamo accettarla per come è. Potremmo sfruttare questo rimpicciolimento del mondo, questo avvicinamento degli spazi, questa velocità nella comunicazione per unire le forze e abbattere questo muro di silenzio, di vuoto, di ignoranza e di fame di denaro. Ormai sono dell’idea che il capitalismo sia la rovina di questo mondo (e non parlo da comunista, dato che non lo sono, è una semplice constatazione oggettiva ed obiettiva), e sono dell’idea che gran parte di questa decadenza derivi da esso.
So che la decadenza culturale non è l’unico problema che stiamo attraversando, ma sono convinta del fatto che la precarietà del lavoro, la mancanza di onestà e la paura dell’Altro derivino da un’ignoranza di fondo, da una superficialità fin troppo tangibile. È questo che deve cambiare. Diamine, abbiamo un cervello, usiamolo! Come possiamo crederci esseri dotati di Ragione se non facciamo assolutamente nulla per far funzionare le cose in nome della collettività? È questo che deve cambiare, dobbiamo renderci conto delle nostre potenzialità perché fino ad ora non abbiamo fatto altro che distruggere. Noi possiamo ricostruire, ma dobbiamo abbattere quel muro di instabilità, ignoranza e vuoto.

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