19 ottobre 2016

"Un chimico", Fabrizio De André e la domanda delle due di notte

Un Chimico, da Non al denaro non all'amore né al cielo (1971)
Tante volte ho ascoltato questo brano, che insieme a Un malato di cuore e a Il suonatore Jones costituisce per me l'apice di Non al denaro non all'amore né al cielo (1971), ma mai mi ero soffermata su una questione che invece mi è balenata in mente questa notte, alle 2, senza che in quel momento stessi ascoltando la canzone, semplicemente mi ha raggiunto sul momento di andare a letto:
ma chi è che, nel testo, fa la riflessione sulla primavera?

Primavera non bussa, lei entra sicura
come il fumo lei penetra in ogni fessura
ha le labbra di carne, i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano
che paura, che voglia che ti porti lontano.

Ho letto la poesia di E. L. Masters (Trainor, il farmacista) contenuta nell'Antologia di Spoon River, da cui De André ha liberamente attinto, e in questa manca del tutto la riflessione, così come manca, secondo me, il lirismo che invece nella canzone è presente e di cui essa è intrisa.

Ho pensato a questa Primavera, che altri non è che la potenza del sentimento amoroso, che è talmente intensa da riuscire a "penetrare" anche tra le parole di un personaggio che ha scelto di escludere dalla propria vita questa esperienza, tanto da andarsene "senza soffrire, /senza un volto di donna da dover ricordare". L'amore però entra nel testo quasi come se vi fosse introdotto da una voce esterna, estranea a quella dell'io del chimico, e la sensazione è rafforzata dal vocalizzo femminile che accompagna il cantato di De André, vocalizzo che oltretutto dona ariosità alla melodia, che qui si fa più dolce e sinuosa.

Potrebbe anche essere una riflessione che emerge da un qualche trascorso rimosso dal chimico, ma che con la morte può tornare tra i suoi pensieri, dato che ormai i giochi sono fatti e il "pericolo" è scampato.

Ho anche voluto vederci la voce di De André stesso, che si contrappone, in qualità di narratore esterno, a quella del chimico, come a volergli far notare l'inesorabilità di un sentimento come l'amore, inesorabile come la morte. Eros e Thanatos, amore e morte: i Dead Can Dance in Black sun cantavano "there is sex and death in mother nature's plans" e io ho sempre pensato che questa affermazione fosse assolutamente vera (ma non mi dilungo sul perché, oltretutto credo sia intuibile, ma se vi va di discuterne, ditemelo pure), e in qualche modo mi sembra che il concetto sia ribadito anche in Un chimico, perché nessuno, quando la "Primavera" arriva, le può sfuggire, al massimo, come accade al chimico, non riesce a capirla.

Tutto ciò mi ha anche fatto pensare ad un libro di Italo Calvino che io amo profondamente, Il barone rampante (1957), e mi va di chiudere con una riflessione del narratore, che è anch'essa una domanda:

Ma in tutta quella smania c'era un'insoddisfazione più profonda, una mancanza, in quel cercare gente che l'ascoltasse c'era una ricerca diversa. Cosimo non conosceva ancora l'amore, e ogni esperienza senza quello che è? che vale aver rischiato la vita, quando ancora della vita non conosci il sapore?



Questo è Romeo, il mio gatto ciccione, e ogni volta che inizio a scrivere deve stendersi sul mio taccuino e impedirmi di proseguire, per poter avere tutte le mie attenzioni. 


Ilaria Pantusa














2 commenti:

  1. Queste tue parole mi hanno fatto tornare in mente tante canzoni... You can never hold back spring di Tom Waits su tutte, anche The musical box dei Genesis, la sezione finale...
    Sono affezionato a questo album, anche se il De Andrè che prediligo inizia con L'indiano.
    Penso che ognuno di noi abbia un chimico dentro. Alcuni ci convivono da sempre, altri lo accolgono a un certo punto delle loro vite, un coinquilino sì ingombrante, ma senza il quale sarebbe difficile tirare avanti fra le quattro vecchie e fin troppo confortevoli mura. Penso che questa canzone (come l'album) sia un'allegoria, che il chimico sia un'allegoria. Forse della repressione mascherata dietro brillanti formule matematiche che non daranno mai una soluzione univoca. Quella parola, "primavera", penso sia pronunciata dall'io più nascosto, quando ormai è tardi. A volte, ma solo a volte, penso che quell'io debba iniziare a parlare prima che sia il chimico a farlo, da dietro una lapide, o meno drammaticamente, una pietra. Altrimenti la primavera stessa resterebbe uno scialle, il più bello, ma mai indossato, per il timore che non possa reggere le intemperie di un inverno non ancora trascorso

    RispondiElimina
  2. Queste tue parole mi hanno fatto tornare in mente tante canzoni... You can never hold back spring di Tom Waits su tutte, anche The musical box dei Genesis, la sezione finale...
    Sono affezionato a questo album, anche se il De Andrè che prediligo inizia con L'indiano.
    Penso che ognuno di noi abbia un chimico dentro. Alcuni ci convivono da sempre, altri lo accolgono a un certo punto delle loro vite, un coinquilino sì ingombrante, ma senza il quale sarebbe difficile tirare avanti fra le quattro vecchie e fin troppo confortevoli mura. Penso che questa canzone (come l'album) sia un'allegoria, che il chimico sia un'allegoria. Forse della repressione mascherata dietro brillanti formule matematiche che non daranno mai una soluzione univoca. Quella parola, "primavera", penso sia pronunciata dall'io più nascosto, quando ormai è tardi. A volte, ma solo a volte, penso che quell'io debba iniziare a parlare prima che sia il chimico a farlo, da dietro una lapide, o meno drammaticamente, una pietra. Altrimenti la primavera stessa resterebbe uno scialle, il più bello, ma mai indossato, per il timore che non possa reggere le intemperie di un inverno non ancora trascorso

    RispondiElimina

Segui il blog, lascia un commento!