26 marzo 2012

I tanti volti di un affascinante, terribile mistero


Questo saggio breve l'ho posto in apertura della mia tesina di maturità. L'argomento, è intuibile, è la follia. Era il lontano 2009...


“Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
<<follia>> […]”.
(Aldo Palazzeschi, Chi sono?, da L’incendiario, 1909)

In un mondo in cui ancora non esistevano antidepressivi o medicinali per curare la schizofrenia, i pazzi venivano internati in manicomi e costretti in camicie di forza, che fermavano il loro corpo, ma non la loro mente, che vagava, viaggiava, in terrorizzanti abissi o in estasianti e brillanti cieli.
In un mondo ancora immune dal progresso della farmacologia, i pazzi erano anche degli artisti, oppure venivano raccontati da geniali creativi, forse un po’ folli anche loro.
La follia ha sempre camminato accanto all’uomo, compagna della morte come della vita, dell’amore come dell’odio, ed è sempre stata lì, immersa in quel limite invalicabile dell’io, ad attenderlo, per mostrargli l’altro lato del mondo, forse quello oscuro, forse quello più candido.
Questo strano modo di vedere il tempo, i sentimenti, questo strano modo di immergersi nella natura come nel cemento, ha portato illustri uomini di scienza, illustri uomini dal genio creativo, illustri uomini del potere dittatoriale a considerare la realtà, o l’irrealtà, nelle sue molteplici sfaccettature.
Le maschere della genialità di Pirandello si illuminano della vita, alla quale si arriva tramite un’umoristica follia, la quale libera le loro esistenze dalla forma. Così c’è chi viaggia insieme al fischio dei treni e arriva fino in Siberia, c’è chi si libera del proprio ingombrante ruolo di punto di riferimento, dedicandosi a quella pazza tentazione di uscire per qualche istante da se stesso, scindendo la propria persona in due.
C’è anche chi con un soffio spegne la vita di coloro che ha intorno e anche la propria, e si libra nell’aria, sinonimo di vitalità. Infine c’è chi afferma di esser stato matto, mostrando umoristicamente come egli non solo non è savio, ma anche che il mondo in cui vive è completamente alterato, straniante, come accade in molte delle opere di Pirandello.
Ma la follia non è solo un mezzo per sopportare la realtà, essa si fa anche viva nell’espressione delle arti figurative.
Vincent Van Gogh soffre durante la propria vita e ciò è visibile sia nella corrispondenza epistolare col fratello, sia nelle opere da lui dipinte. Le tinte forti caratterizzano la sua arte, la follia subentra fra i suoi colori ed è così che nasce il Campo di grano con volo di corvi, opera simbolo dei suoi tormenti, in cui i neri corvi volano come un presagio di morte nel cielo plumbeo agitato dal vento, vento che smuove anche quel campo di grano nel quale si aprono sentieri che non portano da nessuna parte, la stessa direzione che qualche mese dopo prenderà l’artista.
E se il pittore olandese muore logorato nei nervi, Virginia Woolf si toglie la vita per il timore di poter impazzire. Ma prima di farlo, vent’anni prima, scrive Mrs. Dalloway, in cui racconta di una realtà che è divisa fra la sanità e la follia, follia rappresentata dal secondo protagonista del romanzo, Septimus, che simbolicamente non ha nessuna connessione con la signora Dalloway, e dunque con la vita, se non uno psichiatra, e la grande forza della vita e della morte che si presenta in una sola giornata nella Londra degli anni ’20.
E la follia torna ad essere umorismo con il teatro insolito di Ionesco, il quale racconta l’incomunicabilità tramite la malattia del linguaggio, che sembra quasi soffocato da una folle forma di dislalia, e nell’assurdità del susseguirsi delle scene, il messaggio tanto fondamentale per l’intera umanità che un Vecchio di 95 anni deve diffondere, viene affidato ad un Oratore a causa della difficoltà dell’anziano uomo di esprimersi. Ma l’Oratore è sordo-muto e non riuscirà a farsi intendere da nessuno, comunicando solo rantoli e mugolii, i sintomi che la comunicazione è vittima di una grave epidemia.
Ionesco nelle proprie opere parla infatti dell’oppressione messa in atto dai regimi totalitari del Novecento. E se fino ad ora si è parlato della follia come forma di espressione, come sintomo dei diversi modi d’intendere il reale, subentra il discorso riguardante la follia come delirio di onnipotenza, come forma di distruzione di massa, non solo fisica, ma anche morale, come appunto fa intendere Ionesco sia ne Le sedie, che nel Rinoceronte.
A simboleggiare la follia distruttiva vi è la figura di Hitler, il dittatore nazista che dal 1933 al 1945 ha fatto conoscere non solo all’Europa, ma al mondo intero i crimini più nefandi, come lo sterminio di sei milioni di ebrei e di migliaia di zingari, omosessuali e handicappati, l’uomo che con la propria sete di potere ha contribuito a causare lo scoppio della Seconda guerra mondiale, conflitto che ha visto morire circa 50 milioni di esseri umani, fra soldati e civili.
Ecco come la follia di uno si manifesta e rade al suolo intere città, appoggiata da masse amorfe che si muovono come automi, quelle masse indifferenti che vengono utilizzate ed allo stesso tempo disprezzate da chi instaura questo tipo di potere.
La sete di potere è condannata anche da Seneca, il quale nelle sue tragedie trasferisce il proprio pensiero stoico, denunciando le passioni e accusandole di deformare il corpo e lo spirito degli uomini. Anche la sete di potere è provocata da una passione, l’odio verso il prossimo ed anche verso se stessi, la smisurata ambizione, l’esagerato desiderare un determinato oggetto. Nell’Hercules furens Seneca dimostra come la responsabilità delle azioni più nefande non sia solo da attribuire alle divinità, ma anche alla personalità di chi le compie. Ecco perché Seneca scava nel profondo della psicologia dei suoi personaggi, egli in questo modo insegna la propria moralità, ovvero il rinnegare le passioni, andando oltre.
Ed anche la follia si fa Oltre. Tramite le parole di Zarathustra Nietzsche chiede all’umanità intera di generare una “stella danzante”. Questa è creatrice di vita, perché è luce che si muove caoticamente, dato che è generata dal caos. E cos’altro è la stella se non il simbolo di quella creazione dell’universo nata dal caos dell’esplosione primordiale?
In qualche modo anche la follia è generatrice di luce e vita, tramite la voce del folle si afferma la morte di Dio ed allo stesso tempo la nascita del Superuomo, che comporta l’inizio di un nuovo mondo in cui l’uomo deve passare per tre metamorfosi ed alla terza deve farsi nuovamente bambino, vita primordiale, per poter far giungere i propri messaggi a quegli eletti dal caos dell’Oltre.
Ecco i tanti volti della follia, le tante penne, le tante parole mai dette o gridate al vento, vento pronto a farle germogliare chissà dove, chissà quando. Ecco la follia, che ci tiene per mano, e ci suggerisce sempre un altro modo di pensare alla nostra esistenza, mistero affascinante e terribile allo stesso tempo, ma sempre con noi, immerso nella nostra ombra.

1 commento:

  1. Dalla normalità ci si può aspettare poco, forse una sorta di continuità che segue un'ottusa legge della conservazione. La follia serve. E' necessaria. Se in quel momento in cui la si sente salire le si dicesse no, si perderebbe l'occasione per essere davvero se stessi, fuori dall'immagine che gli altri ci danno o che vorremmo dare. Questi grandi personaggi hanno saputo esprimere se stessi, nel bene, o nel male. Ma hanno avuto il coraggio di farlo, cosa che spesso alle nuove generazioni manca.

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