Il
titolo del terzo film della trilogia del tempo ricorda l’incipit di quelle
fiabe che tutti, almeno una volta, abbiamo letto. Come le trame originali di
quelle storie non proprio adatte ai bambini, C’era una volta in America racconta fatti cruenti, intrisi di
sangue, il cui sapore lo si conosce fin dalla prima adolescenza.
Il 18 ottobre uscirà nelle sale la
versione restaurata, contenente circa 40 minuti in più che, come racconta la
figlia di Sergio Leone, lui non avrebbe voluto tagliare.
Quindi, in attesa del 18, mi son
preparata vedendo il director’s cut di 229 minuti.
Finora ho visto solo altri due film di
Leone: Il buono, il brutto, il cattivo
e C’era una volta il West.
In C’era
una volta in America ho ritrovato tutte le peculiarità del suo cinema unite
insieme: la bellezza delle inquadrature, le trovate geniali per legare,
attraverso l’uso sapiente della macchina da presa, tutti i fili della storia,
le meravigliose musiche di Morricone, i dialoghi mai scontati, ma sempre pungenti
e intrisi di saggezza, i caratteri perfettamente delineati dei personaggi sia
maschili che femminili.
E a proposito di donne, le figure
femminili principali di questi film sono sempre fiere, determinate, vincenti.
In un mondo selvaggio come quello del
vecchio West o dell’America degli anni ’30 e ’60, dominato da uomini
animaleschi che sputano, rubano, uccidono e stuprano, le donne sembrano essere
le uniche ancore che assicurino gli uomini ad un qualche residuo di umanità.
Un’umanità comunque rozza e sporca, se pensiamo a Claudia Cardinale in C’era una volta il West.
Il personaggio di Deborah è forse più
complesso però. Lei ha un obiettivo da raggiungere e il suo cuore,
apparentemente duro, viene aperto per l’unica e forse ultima volta in vita sua ad
un “teppista da due soldi” che non cambierà mai. Intenso è il momento in cui
lei gli legge il Cantico dei cantici e, quando lei e Noodles si incontrano anni
dopo in quel ristorante sul mare, torna la poesia del Cantico, recitata da lui,
tornano la bellezza e la purezza di un sentimento mai pronunciato e consumato,
ma tutto questo dura poco, perché quel mondo crudo e bestiale riemerge con la
tristezza e la frustrazione di sapere che quell’unico barlume di speranza, che
aveva tenuto in vita Noodles durante gli anni della prigione, andrà via
lontano, ad Hollywood a rincorrere il suo sogno. Ed è così che alla delicatezza
di un bacio si sostituisce la brutalità dello stupro. Il cuore di Deborah si
indurisce forse per sempre e i suoi occhi, 35 anni dopo, non lasciano adito ad
alcun dubbio. Lei non pensava di rivedere ancora Noodles.
Leone nei suoi film ha parlato
dell’amicizia in modo particolare. E infatti il protagonista principale di C’era una volta in America è il legame
tra Noodles e Max, e il finale, con l’animo di De Niro assopito dall’oppio e il
suo volto sorridente, lo rende evidente. La loro è un’amicizia sporca
dell’asfalto della strada prima, quando Max cerca di convincere Noodles ad
andare a “ripulire” le case degli ebrei fuori per la loro giornata di
preghiera, ed è sporca dell’odore dei soldi dopo, quando Max consiglia ad un
Noodles ubriaco e nervoso di non partecipare al colpo alla Federal Reserve.
In entrambi i casi Max si china e si
lucida le scarpe, e questo gesto viene compiuto nei momenti nodali delle loro
vite: quando si uniscono e quando si separano.
Questo film mi ha stregato. Non ne ho
mai visto uno così assolutamente bello, e non ho mai provato prima la
sensazione che tutto, inquadrature, dialoghi, personaggi, colonna sonora, fosse
amalgamato perfettamente.
Magistrale il modo in cui i flashback
ricostruiscono la storia, poetico il momento in cui Noodles entra nel bagno da
cui spiava Deborah danzare e attraverso questo espediente e quella fessura
nella parete inizia a delinearsi la vicenda.
È come se con gli occhi del
protagonista, Leone ci invitasse ad assistere allo svolgersi di una storia.
Quella fessura è una metafora del cinema, della narrazione, dell’io che osserva
il mondo.
Buona visione.
Ti confesso Ilaria che, complice la mancanza di tempo, fra i vari film di Leone che ho potuto vedere, "C'era una volta in America" ancora mi manca. Ma dopo aver letto la tua recensione, piena di passione nei confronti di questa pellicola che riesci al lettore a trasmettere a 360°, lo cercherò presto e con molto piacere. Ancora complimenti!
RispondiEliminaCiao Daniele, riesco solo ora a rispondere al tuo commento! Ti ringrazio tantissimo, sono felice di essere riuscita a trasmettere il mio amore per questo film.
EliminaLo hai visto poi?