Questo saggio breve l'ho posto in apertura della mia tesina di maturità. L'argomento, è intuibile, è la follia. Era il lontano 2009...
“Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben
strana,
la penna dell’anima mia:
<<follia>> […]”.
(Aldo
Palazzeschi, Chi sono?, da L’incendiario, 1909)
In
un mondo in cui ancora non esistevano antidepressivi o medicinali per curare la
schizofrenia, i pazzi venivano internati in manicomi e costretti in camicie di
forza, che fermavano il loro corpo, ma non la loro mente, che vagava,
viaggiava, in terrorizzanti abissi o in estasianti e brillanti cieli.
In
un mondo ancora immune dal progresso della farmacologia, i pazzi erano anche
degli artisti, oppure venivano raccontati da geniali creativi, forse un po’
folli anche loro.
La
follia ha sempre camminato accanto all’uomo, compagna della morte come della
vita, dell’amore come dell’odio, ed è sempre stata lì, immersa in quel limite
invalicabile dell’io, ad attenderlo, per mostrargli l’altro lato del mondo,
forse quello oscuro, forse quello più candido.
Questo
strano modo di vedere il tempo, i sentimenti, questo strano modo di immergersi
nella natura come nel cemento, ha portato illustri uomini di scienza, illustri
uomini dal genio creativo, illustri uomini del potere dittatoriale a
considerare la realtà, o l’irrealtà, nelle sue molteplici sfaccettature.
Le
maschere della genialità di Pirandello si illuminano della vita, alla quale si
arriva tramite un’umoristica follia, la quale libera le loro esistenze dalla
forma. Così c’è chi viaggia insieme al fischio dei treni e arriva fino in
Siberia, c’è chi si libera del proprio ingombrante ruolo di punto di
riferimento, dedicandosi a quella pazza tentazione di uscire per qualche
istante da se stesso, scindendo la propria persona in due.
C’è
anche chi con un soffio spegne la vita di coloro che ha intorno e anche la
propria, e si libra nell’aria, sinonimo di vitalità. Infine c’è chi afferma di
esser stato matto, mostrando umoristicamente come egli non solo non è savio, ma
anche che il mondo in cui vive è completamente alterato, straniante, come
accade in molte delle opere di Pirandello.
Ma
la follia non è solo un mezzo per sopportare la realtà, essa si fa anche viva
nell’espressione delle arti figurative.
Vincent
Van Gogh soffre durante la propria vita e ciò è visibile sia nella
corrispondenza epistolare col fratello, sia nelle opere da lui dipinte. Le tinte
forti caratterizzano la sua arte, la follia subentra fra i suoi colori ed è
così che nasce il Campo di grano con volo
di corvi, opera simbolo dei suoi tormenti, in cui i neri corvi volano come
un presagio di morte nel cielo plumbeo agitato dal vento, vento che smuove
anche quel campo di grano nel quale si aprono sentieri che non portano da
nessuna parte, la stessa direzione che qualche mese dopo prenderà l’artista.
E
se il pittore olandese muore logorato nei nervi, Virginia Woolf si toglie la
vita per il timore di poter impazzire. Ma prima di farlo, vent’anni prima,
scrive Mrs. Dalloway, in cui racconta
di una realtà che è divisa fra la sanità e la follia, follia rappresentata dal
secondo protagonista del romanzo, Septimus, che simbolicamente non ha nessuna
connessione con la signora Dalloway, e dunque con la vita, se non uno
psichiatra, e la grande forza della vita e della morte che si presenta in una
sola giornata nella Londra degli anni ’20.
E
la follia torna ad essere umorismo con il teatro insolito di Ionesco, il quale
racconta l’incomunicabilità tramite la malattia del linguaggio, che sembra
quasi soffocato da una folle forma di dislalia, e nell’assurdità del
susseguirsi delle scene, il messaggio tanto fondamentale per l’intera umanità
che un Vecchio di 95 anni deve diffondere, viene affidato ad un Oratore a causa
della difficoltà dell’anziano uomo di esprimersi. Ma l’Oratore è sordo-muto e
non riuscirà a farsi intendere da nessuno, comunicando solo rantoli e mugolii,
i sintomi che la comunicazione è vittima di una grave epidemia.
Ionesco
nelle proprie opere parla infatti dell’oppressione messa in atto dai regimi
totalitari del Novecento. E se fino ad ora si è parlato della follia come forma
di espressione, come sintomo dei diversi modi d’intendere il reale, subentra il
discorso riguardante la follia come delirio di onnipotenza, come forma di
distruzione di massa, non solo fisica, ma anche morale, come appunto fa
intendere Ionesco sia ne Le sedie, che
nel Rinoceronte.
A
simboleggiare la follia distruttiva vi è la figura di Hitler, il dittatore
nazista che dal 1933 al 1945 ha fatto conoscere non solo all’Europa, ma al
mondo intero i crimini più nefandi, come lo sterminio di sei milioni di ebrei e
di migliaia di zingari, omosessuali e handicappati, l’uomo che con la propria
sete di potere ha contribuito a causare lo scoppio della Seconda guerra
mondiale, conflitto che ha visto morire circa 50 milioni di esseri umani, fra
soldati e civili.
Ecco
come la follia di uno si manifesta e rade al suolo intere città, appoggiata da
masse amorfe che si muovono come automi, quelle masse indifferenti che vengono
utilizzate ed allo stesso tempo disprezzate da chi instaura questo tipo di
potere.
La
sete di potere è condannata anche da Seneca, il quale nelle sue tragedie
trasferisce il proprio pensiero stoico, denunciando le passioni e accusandole
di deformare il corpo e lo spirito degli uomini. Anche la sete di potere è
provocata da una passione, l’odio verso il prossimo ed anche verso se stessi,
la smisurata ambizione, l’esagerato desiderare un determinato oggetto. Nell’Hercules furens Seneca dimostra come la
responsabilità delle azioni più nefande non sia solo da attribuire alle
divinità, ma anche alla personalità di chi le compie. Ecco perché Seneca scava
nel profondo della psicologia dei suoi personaggi, egli in questo modo insegna
la propria moralità, ovvero il rinnegare le passioni, andando oltre.
Ed
anche la follia si fa Oltre. Tramite le parole di Zarathustra Nietzsche chiede
all’umanità intera di generare una “stella danzante”. Questa è creatrice di
vita, perché è luce che si muove caoticamente, dato che è generata dal caos. E
cos’altro è la stella se non il simbolo di quella creazione dell’universo nata
dal caos dell’esplosione primordiale?
In
qualche modo anche la follia è generatrice di luce e vita, tramite la voce del
folle si afferma la morte di Dio ed allo stesso tempo la nascita del Superuomo,
che comporta l’inizio di un nuovo mondo in cui l’uomo deve passare per tre
metamorfosi ed alla terza deve farsi nuovamente bambino, vita primordiale, per
poter far giungere i propri messaggi a quegli eletti dal caos dell’Oltre.
Ecco
i tanti volti della follia, le tante penne, le tante parole mai dette o gridate
al vento, vento pronto a farle germogliare chissà dove, chissà quando. Ecco la
follia, che ci tiene per mano, e ci suggerisce sempre un altro modo di pensare
alla nostra esistenza, mistero affascinante e terribile allo stesso tempo, ma
sempre con noi, immerso nella nostra ombra.
Dalla normalità ci si può aspettare poco, forse una sorta di continuità che segue un'ottusa legge della conservazione. La follia serve. E' necessaria. Se in quel momento in cui la si sente salire le si dicesse no, si perderebbe l'occasione per essere davvero se stessi, fuori dall'immagine che gli altri ci danno o che vorremmo dare. Questi grandi personaggi hanno saputo esprimere se stessi, nel bene, o nel male. Ma hanno avuto il coraggio di farlo, cosa che spesso alle nuove generazioni manca.
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