Come descrivere ciò che ho
provato quando ho letto della morte di Antonio Tabucchi? Sgomento, dolore,
rimpianto, tristezza? Non bastano queste parole, se non si è coinvolti non si
coglie il significato delle parole usate per descrivere un’emozione. Potrei
trascrivere ciò che ho esclamato, ma mancherebbe l’intonazione, e si sa, nella
comunicazione i fattori prosodici sono essenziali per far recepire il messaggio
con chiarezza.
Io Tabucchi l’ho conosciuto nel
2008. Non dico personalmente, ma nel modo in cui conosci uno scrittore, leggendo
le sue parole. Quell’anno, un giorno mi sono svegliata, ho detto “ho voglia di
leggere un bel libro”, ho deciso che mi sarei fatta guidare dall’ispirazione, e
ho preso in prestito “Sostiene Pereira”. Uno dei libri più belli mai letti. Uno
stile formidabile, una storia coinvolgente, emozionante. Ricordo che lo stavo
leggendo in aereo durante il viaggio in Andalusia con la mia classe, era la
gita del 4° anno di Liceo. Ricordo che ero rimasta incantata da quella
ripetizione ad ogni inizio e fine di capitolo dell’espressione “Sostiene
Pereira”, ricordo quanto mi fossi affezionata a quel personaggio, così
profondo, così umano: parlava con la fotografia della moglie morta, perché gli
mancava, perché era strano. Un personaggio coraggioso però, ma non sto qui a
spiegarvi il perché, altrimenti vi rovino il finale.
E poi, nel 2010, per l’esame di
Letteratura italiana moderna e contemporanea, dovevo scegliere 4 libri da
leggere, e tra questi c’era anche il suo “Notturno Indiano”. L’ho comprato, mi
piaceva già il modo in cui era stato realizzato. Piccolo, con la copertina blu
tipica di “Sellerio Editore Palermo” (se avete letto Camilleri sapete di cosa
parlo), leggero. Ma sapevo di avere tra le mani un grande libro. Mi ci ero già
imbattuta il 20 aprile del 2009, quando al corso di scrittura creativa il
professore Carini ci diede l’incipit di questo romanzo, chiedendoci di continuarlo a nostro piacimento. Chiaramente quello che uscì fuori non era
neanche paragonabile a ciò che avrei letto più di un anno dopo. “Notturno
Indiano” è un viaggio nelle stanze degli hotel, nelle sale di ospedali, nelle
strade dell’ India, ma soprattutto è un viaggio alla ricerca e scoperta di sé, tante
immagini essenziali che però rimangono ben fisse nella mente. Quando penso all’India
penso automaticamente a questo libro, è come se ci fossi stata anche io. E
quando un’opera letteraria ti fa viaggiare sull’ onda delle sue parole, delle
sue pagine, non puoi non concludere che quella è una grande opera e che chi l’ha
scritta rimarrà nella tua storia personale e in quella culturale. Ma ciò che
Tabucchi ha fatto per me non si riduce solo a questo: lo scorso anno all’Auditorium
Parco della Musica ho avuto il privilegio di partecipare alla giornata dedicata
a lui nell’ambito della manifestazione “Libri Come”. Ad un certo punto ha parlato della “Nostalgia dell’irreversibile”. Ho riflettuto tanto su questa
espressione, su cosa volesse dire per me, ma non sono ancora arrivata ad una
conclusione. I grandi scrittori smuovono gli ingranaggi della mente, e lui lo
ha fatto.
Antonio Tabucchi, per questi
motivi, a poco a poco è diventato importante nella mia vita. So che è stato così
anche per altri lettori, e questo è perché Tabucchi era un intellettuale di
grande spessore, uno scrittore straordinario. Oggi ci ha lasciato qualcuno a
cui la morte non imporrà mai il suo silenzio.
Ho adesso notizia della morte di Tabucchi e mi si affollano nella mente tante frasi, tante atmosfere delle sue pagine, tanti stimoli per un pensiero democratico. Mi mancherà, ci mancherà.
RispondiEliminaEnrico Carini