Avete presente quella canzone che non dimenticherete mai? Quella che aleggerà per sempre nel vostro animo perché con i suoi saliscendi di note ha regolato il battito del vostro cuore? “Il concerto” fa questo effetto. Musica, colori e folclorismo vi si intrecciano creando una sinfonia perfetta, che inizia lentamente, quasi in punta di piedi, come il suo protagonista, Andrei Filipov, l’ex direttore d’orchestra del teatro Bolchoi di Mosca, che trenta anni prima si è dovuto reinventare uomo delle pulizie del teatro stesso per non aver obbedito al partito Comunista, che gli aveva ordinato di licenziare dall’ orchestra i musicisti ebrei. E mentre la melodia interiore del film cresce, il destino sorride ad Andrei. Da una Mosca sporca, arretrata e post-sovietica, il direttore e la sua ricomposta e chiassosa orchestra si ritrovano a Parigi come ospiti d’onore del teatro Chatelet. Qui Andrei non ritroverà solo Tchaikovski, il suo passato e le sue nevrosi, ma si ricongiungerà con l’“armonia perfetta e assoluta della musica”, quella stessa musica che sul finire cresce impetuosamente, riempie il cuore, colma gli occhi di lacrime e lascia senza fiato. “Il concerto” di Radu Mihaileanu è un esempio magistrale di Settima Arte, gli interpreti interagiscono con naturalezza e riescono a lasciare il segno, facendosi inseguire con divertita passione nelle loro vicende, mentre un mondo, quello della Russia post-sovietica, si mostra in maniera quasi tragicomica, immerso nei suoi mille splendidi volti. “Il concerto” è il film che tutti coloro che hanno voglia di meravigliarsi dovrebbero vedere.
Questa recensione è stata selezionata per il concorso di critica cinematografica indetto dal sito Mymovies nel 2010
Ilaria Pantusa
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