Ci sono cose che la tecnologia non ridarà mai
indietro, nel suo offrirci servizi e renderci la vita più comoda. Su tutte, il
calore umano.
Non parlo della superficie liscia e metallica di un
robot le cui braccia un giorno saranno in grado di cingerci e neanche di
software futuristici in grado di organizzarci la giornata, scrivere lettere per
noi e (forse) amarci platonicamente, come in Her.
Parlo di qualcosa di molto più quotidiano e alla
portata di chiunque sia in possesso di pc, smartphone e tablet: i programmi di
musica in streaming.
Quando Spotify è approdato sulle coste dello
Stivale pensavo a un dono dal cielo. Migliaia di brani e tantissimi gruppi e
cantautori fruibili gratuitamente, dovendo sopportare solo qualche manciata di
minuti di spot pubblicitari ogni ora. Ma in confronto a quel ben di Dio quasi
non sentivo la ridondanza dei jingle e delle voci entusiaste nel cercare di
vendermi un prodotto qualsiasi, dall’abbonamento a Spotify Premium allo
spettacolo del Circo de los horrores.
Questo programma permette di tutto, dal creare
playlist all’ascoltare radio di tutti i tipi, suddivise per generi, artisti,
decenni, umori e momenti della giornata. Il modo migliore per scoprire musica
in streaming. Eppure, eppure qualcosa manca.
Essendo cresciuta musicalmente e interiormente con
la radio, quella vera, quella fatta da persone che parlano di musica, che prima
di mandare un brano aprono la custodia che contiene il cd e fanno sentire quel
suono quasi voluttuoso di dita che estraggono il disco e se lo rigirano tra le
mani prima di inserirlo nel lettore, ecco, essendo cresciuta con questo, quella
della musica in streaming non poteva che essere un’esperienza a metà.
Ascoltarla in questa modalità mi aveva impigrito.
Le radio non andavano oltre i confini che si erano
date da sé, facendo risultare i brani tutti uguali, piatti, noiosi, che quasi
non li sentivo e diventavano come un bel mobile in una stanza ben arredata, in
cui le cose però si confondono l’una nell’altra fino a sparire, per assenza di
quel tocco di personalità che farebbe la differenza.
E lo stesso mi accadeva con le playlist. Mi
accontentavo di inserire la modalità casuale e quel che capitava, capitava. Non
avevo mai tempo per godermi un cd intero e c’erano periodi in cui non avevo
fantasia né stimoli per scoprire nuova musica, nuova linfa.
Quando a 14 anni ho scoperto una radio che fino a
qualche anno fa per me è stata La Radio, ma che ora si è omologata fino a
perdere la propria unicità nella trasmissione quasi forzata delle novità del
momento e delle chiacchiere superficiali, a 14 anni per me è cambiato tutto.
Un mondo di musica, conoscenza e stimoli mi si è
aperto, e penso che sia stato determinante per il corso intrapreso dalla mia
vita.
Passavo tutti i pomeriggi e le sere ad ascoltare la
radio e inevitabilmente la mia cultura musicale si accresceva, insieme alla mia
collezione di cd, a cui sporadicamente si aggiungeva qualche vinile, che
inseguivo desiderosa con la mia paghetta di adolescente, che quindi non mi
bastava mai.
Virxilio Viéitez Bértolo |
Sembra quasi di parlare di pomeriggi e adolescenze
da anni ’70, se non fosse per il particolare dei cd e se non fosse che quell’età
della mia vita risale ad appena dieci anni fa.
Per me le chiacchiere degli speaker erano quelle degli
amici di una vita.
Quando parlavano di stupidaggini mi divertivano, ma
quando parlavano di musica, e lo facevano a lungo, con passione e competenza,
ero una spugna che assorbiva: il calore del loro amore si aggiungeva al mio e
stimolava la mia voglia di conoscere, di esplorare, di scoprire. Ho sempre
amato la complessità, la varietà e in quei pomeriggi ascoltavo di tutto: rock,
punk, progressive, jazz, cantautorato italiano, alternative. Tutto!
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