Ricordo che, quando ero piccola e andavo al mare coi nonni, spesso c'erano dei parenti provenienti da un'altra zona della Calabria, l'entroterra della provincia di Catanzaro.
Ricordo il loro modo di parlare duro, pieno di "u" e di "t" e ancora "c", tutte pronunciate con asprezza e aridità. E adesso mi viene in mente che quella asprezza e quella aridità sono le stesse di quella terra bruciata dal sole, spesso priva di acqua, lasciata a sé stessa nei lontani anni della Riforma Agraria.
Quasi come se la secchezza del terreno fosse penetrata nella lingua parlata da quelle popolazioni. E la lingua è cultura, storia, storie. La lingua assorbe i tratti e la psicologia di un popolo.
E in quei suoni ascolto quasi con romanticismo e nostalgia i suoni di una pianta che fatica a nascere e crescere in una terra tanto dura e ostile, e poi il sorriso di un contadino e la gioia del verde in mezzo a tanta polvere.
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