Ovviamente in Italia si è riusciti a giungere ad un tale grado di civiltà solo 34 anni fa, e dopo 34 anni non si riesce a dare per scontato che alcuni diritti devono rimanere tali, perché altrimenti Gesù Bambino, la Madonnina e tutti i santi del Paradiso piangono, perché quelle donnacce cattive sulla Terra si permettono di avere un'opinione e di decidere cosa sia meglio per se stesse. BASTA IPOCRISIA, anzi, qui c'è bisogno di più consultori e di più informazione. Siamo un paese che non può definirsi civile finché un diritto come questo viene ancora posto in discussione.
Vi lascio con un esauriente ed interessante articolo sull'argomento, buona lettura!
Giù le mani dalla 194
di Silvia Costantino
La legge 194 del 22 maggio 1978 non è il meglio che si può desiderare in materia di regolamentazione delle interruzioni volontarie di gravidanza: è nata in seguito a un compromesso, contiene numerosi punti deboli. È una legge vetusta, troppo intrisa di morale cattolica; una legge da migliorare e modificare, sin troppo paternalista.
Ma è l’unica che abbiamo.
In questo momento la 194 è (nuovamente) da difendere: da difendere dalle strumentalizzazioni che la vogliono una legge omicida; da difendere perché, e non è retorica, altrimenti si torna a morire di ferri da calza e intossicazioni da prezzemolo; da difendere perché mette al primo posto la salute, l’integrità fisica e quella psichica della donna; e soprattutto, cosa a quanto pare non più scontata, riconosce l’autodeterminazione della donna e la considera in quanto essere umano, e non solo come contenitore di feti. Il problema della 194 è che ormai è diventata “la legge sull’aborto”: conviene, per sfatare questa falsissima diceria, dare un’occhiata leggermente più approfondita al testo.
Articolo 1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.»Articoli 2 3 e 5, sui consultori: «Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto»Articoli 7, 8, 14, sulla sicurezza e la tutela della donna: «L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica anche l’inesistenza di controindicazioni sanitarie.»; «Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna.»Articolo 9, sull’obiezione di coscienza: «L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. » «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.»Articoli 12, 13, 18 e 19 sull’autodeterminazione e la tutela della donna: «La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna.» «Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.» «Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.» «Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.»Articolo 15, ricerca e aggiornamento: «Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza.»
Questo è, in poche righe – e la legge non ne conta molte di più – il contenuto essenziale della legge. Una legge che è scritta e pensata, prima di tutto, per la tutela della donna, della sua salute, della sua sicurezza e integrità fisica, e della sua capacità decisionale.
Fino a qualche giorno fa, il controllo e la difesa della 194 erano sotto la soglia minima di attenzione. Quindi, anche se ogni tanto si sentivano o si leggevano cose inquietanti –ospedali che smettono di praticare IVG (cosa che, peraltro, come è scritto sopra, è completamente illegale), farmacie che si rifiutano di vendere il preservativo (!) –, il dibattito non si accendeva, e l’indignazione rimaneva circoscritta a quegli (un)happy fewche, ancora, pensano che una comunità civile si ottenga favorendo l’accesso ai servizi e non continuando a ostacolarlo e negarlo sempre di più.
Si potrebbe evidenziare quanto la 194 sia da aggiornare1 (una diciassettenne oggi sarà anche minorenne, ma di sicuro – e, certamente, con il giusto e dovuto sostegno – è in grado di decidere per la sua vita, per la sua vita sessuale e per la sua gravidanza. Il resto è moralismo); se ne potrebbero mettere in risalto molte criticità, prima su tutte laquestione dell’obiezione di coscienza; si potrebbe anche parlare della difficoltà ad affermarsi che hanno i nuovi metodi abortivi: all’avvento delle «tecniche più moderne etc.», vedi alla voce RU-486, si è letteralmente scatenato il finimondo (inconcepibile, ed è davvero la parola giusta, l’idea di una pillola che faciliti l’espulsione del feto, con solo un po’ di mal di pancia. La donna, oltre a partorire, deve – se proprio deve – abortire con dolore, sennò non sconta abbastanza il peccato originale?).
L’argomento che più di tutti è a sostegno della 194, però, è contenuto nel testo stesso della legge. È quello composto dagli articoli 2, 3 e 5; è il più ripreso e il più ricorrente in tutto il documento. Si riassume in una sola parola: consultori. Il consultorio è un organismo fondamentale per la tutela della donna (della giovane donna in primis, per non parlare, adesso, della donna migrante), è l’asse portante di tutta la 194. E non lo è perché attraverso il consultorio si può ottenere l’autorizzazione alla IVG, ma perché in queste strutture si fa, o si dovrebbe fare, una campagna preventiva e informativa che cerchi prima di tutto di evitare che si verifichino le condizioni di una gravidanza indesiderata. Il consultorio sarebbe anche l’organismo preposto a cercare soluzioni alternative all’aborto, quando possibile, a sostenere la donna nelle sue scelte e ad accompagnarla lungo un percorso che in nessun caso può essere considerato facile e indolore. Purtroppo ad oggi questo è un concetto praticamente inesistente: non vengono rispettate quasi mai le normative che ne regolamentano la presenza sul territorio (stando a quanto si legge in giro, il rapporto tra consultori e abitanti deve essere di uno ogni 20000); né il ruolo del consultorio è pubblicizzato abbastanza. A peggiorare la situazione, i consultori – prima conquista dei movimenti femministi; teoricamente baluardo di una tutela laica della salute della donna – ultimamente sono diventati presidio dei pro-lifers. E poi ci sono i problemi legati alla scarsità di servizi erogati: non so se qualcuno di voi sia mai stato in un consultorio. Io sì, se non altro perché il servizio è completamente gratuito, ed è più veloce ottenere una visita o una prescrizione lì che non in ospedale. Bene: la ginecologa non c’è sempre, così come sempre non c’è la psicologa; per farsi visitare bisogna insistere molto – altrimenti si spiega cosa si ha, ti fanno una prescrizione, ti danno il depliant sull’anello contraccettivo e via –. Tutto, ovviamente, per questioni di tempo e sovraffollamento: un solo consultorio (o due ma aperti a mezzo servizio come nel caso senese) non può gestire un’intera popolazione di giovani donne. È un problema serio, che lascia capire quanto poco di questa legge sia rimasto realmente importante, e in quale maniera la 194 sia stata travisata.
È per questo che, ad oggi, è così facile attaccarla, accusandola di essere una legge pro-aborto, addirittura di andare contro le direttive europee sulla salvaguardia della vita umana. La questione che si dibatte oggi alla Corte Costituzionale nasce dalla denuncia di un giudice di Spoleto in seguito alla “scandalosa” notizia della diciassettenne che, con serie e ponderate motivazioni, ha chiesto di abortire senza che se ne richiedesse il parere ai genitori. Il problema sono le tesi a sostegno della denuncia, che, evidentemente, non hanno niente a che vedere con la patria potestà e la condizione di minorenne della ragazzina. Il giudice che doveva decidere per il caso della (povera) ragazzina di Spoleto afferma infatti che l’articolo in questione della legge andrebbe contro le direttive europee sulla tutela della vita umana: «la facoltà prevista dall’articolo 4 della legge 194 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento comporta “l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto”» (a questo proposito vorrei anche far notare che nella legge è detto esplicitamente che, quando ci siano le possibilità di sopravvivenza del feto il medico deve fare di tutto perché questo avvenga). Mi stupisce, sinceramente, come nessuno dei giornali che ha riportato la notizia abbia notato una lieve contraddizione. I testi degli articoli parlano della questione di Spoleto – che coinvolgerebbe soprattutto l’articolo 12, sull’interruzione di gravidanza senza tutela genitoriale in caso di minore età – e poi riportano candidamente che ad essere in discussione è l’articolo 4 sulla legittimità dell’IVG entro 90 giorni dal concepimento nel caso siano valide le circostanze che attestano un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna in caso di prosecuzione della gravidanza. Che poi significa di fatto che è in discussione l’IVG, visto che dopo i tre mesi l’aborto è illegale a meno che non si verifichino gravi complicazioni: cioè, è in discussione l’intera legge 194 del 22 maggio 1978.
Sull’equivalenza tra essere umano e feto, e sulla concezione (colpevolizzante e oggettuale) che i prolifers hanno della donna e del parto stesso, sono stati scritti tanti articoli. Molti di questi adesso si trovano facendo una ricerca su twitter, con l’hashtag #save194, che è importante oggi e sarà importante domani. Si spera che oggi la Corte costituzionale si faccia una grassa risata sui moralismi bigotti mascherati da europeismo del giudice di Spoleto: se così non avverrà le conseguenze saranno inimmaginabili? No, si immaginano facilmente, basta pensare a com’era la situazione trentacinque anni fa. Nel 1977.
Fino a qualche giorno fa, il controllo e la difesa della 194 erano sotto la soglia minima di attenzione. Quindi, anche se ogni tanto si sentivano o si leggevano cose inquietanti –ospedali che smettono di praticare IVG (cosa che, peraltro, come è scritto sopra, è completamente illegale), farmacie che si rifiutano di vendere il preservativo (!) –, il dibattito non si accendeva, e l’indignazione rimaneva circoscritta a quegli (un)happy fewche, ancora, pensano che una comunità civile si ottenga favorendo l’accesso ai servizi e non continuando a ostacolarlo e negarlo sempre di più.
Si potrebbe evidenziare quanto la 194 sia da aggiornare1 (una diciassettenne oggi sarà anche minorenne, ma di sicuro – e, certamente, con il giusto e dovuto sostegno – è in grado di decidere per la sua vita, per la sua vita sessuale e per la sua gravidanza. Il resto è moralismo); se ne potrebbero mettere in risalto molte criticità, prima su tutte laquestione dell’obiezione di coscienza; si potrebbe anche parlare della difficoltà ad affermarsi che hanno i nuovi metodi abortivi: all’avvento delle «tecniche più moderne etc.», vedi alla voce RU-486, si è letteralmente scatenato il finimondo (inconcepibile, ed è davvero la parola giusta, l’idea di una pillola che faciliti l’espulsione del feto, con solo un po’ di mal di pancia. La donna, oltre a partorire, deve – se proprio deve – abortire con dolore, sennò non sconta abbastanza il peccato originale?).
L’argomento che più di tutti è a sostegno della 194, però, è contenuto nel testo stesso della legge. È quello composto dagli articoli 2, 3 e 5; è il più ripreso e il più ricorrente in tutto il documento. Si riassume in una sola parola: consultori. Il consultorio è un organismo fondamentale per la tutela della donna (della giovane donna in primis, per non parlare, adesso, della donna migrante), è l’asse portante di tutta la 194. E non lo è perché attraverso il consultorio si può ottenere l’autorizzazione alla IVG, ma perché in queste strutture si fa, o si dovrebbe fare, una campagna preventiva e informativa che cerchi prima di tutto di evitare che si verifichino le condizioni di una gravidanza indesiderata. Il consultorio sarebbe anche l’organismo preposto a cercare soluzioni alternative all’aborto, quando possibile, a sostenere la donna nelle sue scelte e ad accompagnarla lungo un percorso che in nessun caso può essere considerato facile e indolore. Purtroppo ad oggi questo è un concetto praticamente inesistente: non vengono rispettate quasi mai le normative che ne regolamentano la presenza sul territorio (stando a quanto si legge in giro, il rapporto tra consultori e abitanti deve essere di uno ogni 20000); né il ruolo del consultorio è pubblicizzato abbastanza. A peggiorare la situazione, i consultori – prima conquista dei movimenti femministi; teoricamente baluardo di una tutela laica della salute della donna – ultimamente sono diventati presidio dei pro-lifers. E poi ci sono i problemi legati alla scarsità di servizi erogati: non so se qualcuno di voi sia mai stato in un consultorio. Io sì, se non altro perché il servizio è completamente gratuito, ed è più veloce ottenere una visita o una prescrizione lì che non in ospedale. Bene: la ginecologa non c’è sempre, così come sempre non c’è la psicologa; per farsi visitare bisogna insistere molto – altrimenti si spiega cosa si ha, ti fanno una prescrizione, ti danno il depliant sull’anello contraccettivo e via –. Tutto, ovviamente, per questioni di tempo e sovraffollamento: un solo consultorio (o due ma aperti a mezzo servizio come nel caso senese) non può gestire un’intera popolazione di giovani donne. È un problema serio, che lascia capire quanto poco di questa legge sia rimasto realmente importante, e in quale maniera la 194 sia stata travisata.
È per questo che, ad oggi, è così facile attaccarla, accusandola di essere una legge pro-aborto, addirittura di andare contro le direttive europee sulla salvaguardia della vita umana. La questione che si dibatte oggi alla Corte Costituzionale nasce dalla denuncia di un giudice di Spoleto in seguito alla “scandalosa” notizia della diciassettenne che, con serie e ponderate motivazioni, ha chiesto di abortire senza che se ne richiedesse il parere ai genitori. Il problema sono le tesi a sostegno della denuncia, che, evidentemente, non hanno niente a che vedere con la patria potestà e la condizione di minorenne della ragazzina. Il giudice che doveva decidere per il caso della (povera) ragazzina di Spoleto afferma infatti che l’articolo in questione della legge andrebbe contro le direttive europee sulla tutela della vita umana: «la facoltà prevista dall’articolo 4 della legge 194 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento comporta “l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto”» (a questo proposito vorrei anche far notare che nella legge è detto esplicitamente che, quando ci siano le possibilità di sopravvivenza del feto il medico deve fare di tutto perché questo avvenga). Mi stupisce, sinceramente, come nessuno dei giornali che ha riportato la notizia abbia notato una lieve contraddizione. I testi degli articoli parlano della questione di Spoleto – che coinvolgerebbe soprattutto l’articolo 12, sull’interruzione di gravidanza senza tutela genitoriale in caso di minore età – e poi riportano candidamente che ad essere in discussione è l’articolo 4 sulla legittimità dell’IVG entro 90 giorni dal concepimento nel caso siano valide le circostanze che attestano un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna in caso di prosecuzione della gravidanza. Che poi significa di fatto che è in discussione l’IVG, visto che dopo i tre mesi l’aborto è illegale a meno che non si verifichino gravi complicazioni: cioè, è in discussione l’intera legge 194 del 22 maggio 1978.
Sull’equivalenza tra essere umano e feto, e sulla concezione (colpevolizzante e oggettuale) che i prolifers hanno della donna e del parto stesso, sono stati scritti tanti articoli. Molti di questi adesso si trovano facendo una ricerca su twitter, con l’hashtag #save194, che è importante oggi e sarà importante domani. Si spera che oggi la Corte costituzionale si faccia una grassa risata sui moralismi bigotti mascherati da europeismo del giudice di Spoleto: se così non avverrà le conseguenze saranno inimmaginabili? No, si immaginano facilmente, basta pensare a com’era la situazione trentacinque anni fa. Nel 1977.
#save194, ora e sempre.
1 Ma tanto da aggiornare che l’ammontare delle multe, nel testo, è ancora espresso in lire. Al tasso del 1978 («La donna è punita con la multa fino a lire centomila.»).
Nessun commento:
Posta un commento
Segui il blog, lascia un commento!