24 novembre 2009

Piano, solo





 
A volte capita di guardare un film.
A volte capita di guardare un film e di pensare che tutto sommato sia un buon film.
A volte capita poi di entrare in un negozio di musica, ricordarsi di quel film (perché forse parlava proprio di musica), e di cercare magari nella sezione dedicata al jazz se ci sia l’artista di cui si parla nella pellicola in questione.
In effetti il lungometraggio è “Piano, Solo” e racconta la storia di Luca Flores (interpretato dall’ottimo Kim Rossi Stuart), un uomo dal talento geniale col suo pianoforte, a cui la musica jazz ha regalato davvero molto.
Luca nasce nel 1956 e muore nel 1995.
Tutto gira intorno alle sue note, alle sue scale, al suo sguardo.
È proprio dai suoi occhi che si comprende quanto l’uomo sia turbato dentro, quanto stia male, a causa dei ricordi di una madre morta in Africa durante un incidente stradale che stava per togliere la vita sia a lui che alla sua adorata sorella Barbara, detta anche Baba (interpretata da una Paola Cortellesi insolitamente drammatica, e appunto coinvolgente in questo suo insolito ruolo).
La sua vita ruota anche attorno al senso di colpa per la morte di sua madre, un senso di colpa scandito dal suono-ritmo del copertone della ruota dell’auto “maledetta”, un ritmo, quasi tribale, che si ripete costantemente nella sua memoria, un suono che è nella sua testa fin da quel momento e lo accompagnerà fino alla sua morte.
Eppure prima che la malattia mentale insorga, ci sono sprazzi di luce nella sua vita.
Molto giovane consegue il diploma in Pianoforte a Firenze, col massimo dei voti.
Conosce due ragazzi con cui formerà un terzetto jazz. Durante le esibizioni in un piccolo locale con i due amici conosce Cinzia, con la quale nasce subito una tenera passione che si trasformerà nell’amore della sua vita, nonché anche la “goccia” che farà traboccare il vaso, quando questo terminerà.
Luca viene notato da alcuni artisti Jazz con cui parte in svariate tournée. È proprio grazie a questi concerti in giro per il mondo che il suo talento comincia ad essere molto apprezzato ed è per questo che Chet Baker, leggenda del jazz, lo vuole con sè nelle sue tournée mondiali.
È a questo punto però che la situazione comincia a declinare.
Il rapporto con Cinzia (interpretata da Jasmine Trinca) a poco a poco si deteriora. Lei desidera la normalità ma lui non riesce a dargliela, un po’ per gli impegni musicali, un po’ perché la sua natura non glielo permette.
Così abortisce del bambino che aspettava da Luca.
Non appena l’uomo scopre questo, cade nel baratro. A poco a poco, lentamente scivola nel buio dell’autodistruzione.
I tentativi di suicidio, il viaggio in Africa per cercare, tentare di ritrovare se stesso, l’elettroshock nelle cliniche psichiatriche per cercare di curarsi.
Arriva addirittura a voler rinunciare a ciò che lo rende vivo nel profondo.
La musica.
Infatti si ferisce ad una mano, un gesto inspiegabile, ma che in realtà nasconde il suo malessere, la sua “follia”, il suo senso di colpa. Viene curato e riprende a suonare. Non davanti al pubblico però.
Tutta la famiglia è attenta ad ogni passo del musicista, il padre (interpretato da un bravissimo Michele Placido) tenta di provare a stargli accanto, tenta di “fare” il padre ma neanche questo servirà a scacciare il buio dagli occhi di Luca.
Prima di uccidersi scrive una musica per pianoforte dal titolo “How far can you fly”.
Quanto lontano tu puoi volare.
Eppure lui non ha scelto di volare. Ha scelto la via più breve per eliminare i suoi problemi. Ha scelto di immergersi totalmente in quel buio.
Questa storia emoziona, trascina, è piena di silenzi, di sguardi, di parole non dette o non ascoltate.
Questa storia è piena di musica, di rumori, di suoni, è piena di sentimenti, di paura, di genialità, di follia, di colori, di paesaggi, di sapori.
Luca Flores ammirava qualunque musicista che suonasse ogni nota come fosse l’ultima.
Aveva imparato a fare anche lui lo stesso.









Regia: Riccardo Milani
Con:
Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Paola Cortellesi, Michele Placido.

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